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L’Io e la relazione

L’Io e la relazione

Sempre più ricca è la ricerca sul periodo pre, peri e post natale, ovvero sui periodi in cui un gruppo di cellule diventa embrione, poi feto che cresce, poi bambino che potrebbe sopravvivere anche fuori dall’ambiente uterino, infine piccolo che nasce e inizia la sua vita “autonoma” in questo mondo.

Tra le tantissime cose che capiamo e confermiamo sempre di più da questa enorme mole di ricerche è quanto la relazione, in particolare con le figure di cura, sia fondamentale per lo sviluppo non solo della psiche ma anche della biologia. Le esperienze relazionali dei primi anni di vita, infatti, non solo hanno una grandissima influenza sulle nostre idee, assetto emozionale, relazioni, comportamenti, ma anche sulla nostra neurofisiologia, che sta spesso alla base di quegli aspetti ma anche di altre funzioni quali il linguaggio, la gestione delle emozioni, l’intelligenza, e così via. Anche perché il piccolo d’uomo è il mammifero che ha bisogno di un tempo di accudimento più lungo rispetto agli altri mammiferi per diventare autonomo e ciò che accade in quel lungo periodo è fondamentale per tutto il resto della sua vita, sia da un punto di vista psicologico sia da un punto di vista fisico-biologico. Ciò significa che il corpo, nel suo funzionamento e sviluppo, non cresce a prescindere dalle relazione e dalle vicende che accadono al bambino, ma come cresce e si sviluppa dipende moltissimo anche dalle sue esperienze di vita nei primi anni e da come va la relazione con le figure di attaccamento, ovvero quelle che accudiscono e si prendono cura del bambino. E questo negli aspetti della neurobiologia e fisiologia, aspetti di base che sostengono e supportano funzioni e capacità di tipo fisico ma anche di tipo emotivo, cognitivo, comportamentale e relazionale.

Facciamo degli esempi. La capacità di regolare e gestire le emozioni che il bambino svilupperà dipende molto da che ambiente relazionale ha intorno e dalla capacità e possibilità di chi se ne prende cura di calmarlo, stimolarlo, capirlo e rispondere ai suoi bisogni. Se quando il bambino è agitato il genitore sa capire cosa non va e calmarlo, il bambino svilupperà e apprenderà la capacità, anche fisiologica, di sviluppare in modo corretto il sistema biologico deputato a riportare calma e di imparare a calmarsi. Se il bambino vive in un contesto abbastanza regolare e prevedibile, questo aiuta anche la sua biologia ad assestarsi e trovare un buon ritmo ormonale, sonno-veglia, di “attivazione” dovuta al buon funzionamento del sistema simpatico e di “disattivazione”, dovuto al buon funzionamento del sistema parasimpatico.

E ciò vale anche per quanto accade durante la gravidanza. Ad esempio il livello di stress della madre durante la gravidanza, che si traduce anche in sue reazioni neurofisiologiche. Ad esempio un innalzamento di alcuni ormoni tra cui il cortisolo, comporta anche nel bambino, anche dopo la nascita, un’alterazione della sua neurofisiologia, ad esempio in termini di maggiore presenza di cortisolo e di maggiore “irritabilità”, con più facilità e velocità a turbarsi e minore capacità e tempi più lunghi per calmarsi.

Da genitori, quindi, abbiamo davvero un’enorme responsabilità – onere e onore – non solo per il presente dei nostri figli ma anche per il loro futuro di persone, corpo e anima. Non siamo gli artefici totali di ciò che i nostri figli sono e saranno, ovviamente, nel senso che i fattori che influenzano la vita, la crescita e lo sviluppo di un individuo sono sempre moltissimi, ma noi siamo uno dei principali e fondamentali.

Un aspetto che pare di assoluto rilievo in questa “buona relazione” che dobbiamo cercare sin dalla gravidanza e ancor più nei primi mesi e anni di vita è la sintonizzazione, la danza tra bambino-noi-lui-noi, la sincronizzazione. Ovvero la capacità di chi interagisce con il bambino di vedere, comprendere, rispondere ai bisogni del bambino in modo adeguato; di leggere e codificare i suoi stimoli e darvi risposta. Di ascoltare, accogliere, rispondere in modo adeguato, congruo, coerente. Crea invece danno fare tutto ciò in modo 1) insufficiente/assente, 2) eccessivo/intrusivo o 3) incoerente/”stonato”/dissonante, poiché non permette al bambino – né alla sua biologia né alla sua psicologia – di svilupparsi e funzionare al meglio. “Recuperare” e compensare queste mancanze, eccessi o incoerenze non risulta poi affatto facile…

Cerchiamo quindi, in particolare quando sono piccoli piccoli, ma anche dopo e sempre, di avere uno stile di accudimento e cura attento, coerente, rispettoso, adeguato.

L’insufficiente presenza, un atteggiamento lasso, distanza, freddezza, fino a disinteresse, trascuratezza e negligenza non sostengono né permettono un’ideale evoluzione (1).

L’eccesso di presenza, controllo, via via fino all’autoritarismo, dominio, imposizione, aggressione e violenza fanno ugualmente male (2).

Lo stesso dicasi per un rapporto in cui l’adulto si relaziona in modo incoerente e incongruo, inadeguato (3): della serie la richiesta è A e io rispondo B, il bisogno espresso è X e io lo leggo come Z e reagisco a Z.
Ad esempio il bambino ha fame e io lo metto a letto: ha bisogno di conforto e io lo lascio da solo o mi arrabbio, lo aggredisco e lo spavento. Necessita di esplorare ed essere autonomo e io lo induco a starmi vicino e lo tratto e mantengo più piccolo e dipendente di quanto sia, possa e voglia essere.

Questi “errori” di sintonizzazione spesso dipendono dalle problematiche del genitore legate a difficoltà o problemi storici e/o di quel momento della sua vita. Cerchiamo quindi come genitori di essere capaci di osservarci, di fare autocritica e di chiedere aiuto se ci vediamo in difficoltà con alcuni aspetti del rapporto con i nostri figli. Come loro nascono e crescono, così lo facciamo anche noi. Qualcuno ha detto che quando nasce un bambino nascono anche una mamma e un papà. Genitori si diventa, con ogni figlio e ogni giorno con loro: non perdiamo quest’enorme, complicata, meravigliosa occasione per crescere anche noi e migliorare, sia per il bene nostro che per il bene loro.

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